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USC/UCT: “Agricoltori stressati ricordatevi di pagarci i contributi!”
La saga delle trattenute, dei contributi estorti e delle deduzioni pseudo-associative ha un nuovo triste capitolo. Come segnalatoci da un fedele lettore del blog, negli scorsi giorni diversi agricoltori hanno ricevuto una singolare, quanto enigmatica lettera di richiamo che alleghiamo.
In molti, compreso il fedele lettore, hanno addirittura pagato la fattura, visto anche l’esiguo importo e che il mittente era nientemento che Identitas, ditta che si assume l’incarico di gestire a livello nazionale la banca-dati sul traffico degli animali. Insomma hanno pagato ritenendo che potesse trattarsi per esempio del pagamento di una partita di marche auricolari. Tuttavia analizzando in un secondo tempo la missiva, il malcapitato si è reso conto che se non siamo di fronte a una truffa legalizzata, poco ci manca.
1. Innanzi tutto, la lettera configura un vero e proprio (e formale) richiamo di pagamento.
2. La lettera inizia con un’esplicita allusione allo stress che vivono gli agricoltori e dunque non poteva avere incipit peggiore con una mancanza di rispetto verso una categoria che non ha attualmente vita facile, al contrario di chi ha i piedi al caldo dietro le scrivanie delle varie organizzazioni di organizzazioni di enti affiliati.
3. Poi prosegue colpevolizzando i destinatari, rei di non essersi ricordati di pagare una fattura (il cui pagamento dipende in tutto e per tutto dalla volontà del singolo e non è assolutamente obbligatorio!!!).
4. In questo delirio di mancanza di rispetto, gli estensori della missiva si permettono di enumerare i giorni di ritardo, mentre la tabella indica pure una casella “Ultimo richiamo”, quasi che dopo di ciò si proceda all’esecuzione forzata.
5. Chi credeva che, come nei migliori raggiri, il mistero si celasse fra qualche apostilla scritta in minuscolo a fondo pagina, si sbagliava di grosso. Infatti, il trabocchetto è svelato in alto a destra sotto “Nostra referenza”, dove gli estensori, rigorosamente in tedesco (affinchè non si capisca?), spiegano agli agricoltori italofoni il motivo del richiamo: SBV-Verbandsbeiträge, ovvero Contributi associativi USC, che sta per Unione svizzera dei contadini.
CONCLUSIONE:
La fattura richiamata è quella relativa ai contributi volontari per l’USC che ognuno è libero di pagare o meno all’Unione svizzera dei contadini. Come già avviene per le trattenute UCT sui pagamenti diretti, questi contributi non danno diritto a nessuna rappresentanza in assemblee o gremii di contadini. In pratica, si paga senza avere diritto di voto.
Per maggiori info (si legge nella lettera) ci si può rivolgere al segretariato dell’Unione Contadini Ticinesi che dunque va lodata per la sua coerenza nel difendere i costrutti antidemocratici di prelievo di contributi messi in atto da diverse organizzazioni agricole. La stessa UCT, ancora nel 2018, è addirittura la più antidemocratica di tutte le organizzazzioni cantonali, poiché formalmente è formata esclusivamente da enti affiliati e dunque non annovera nemmeno uno che sia uno membro individuale. Preleva i contributi ai contadini, ma di farli votare all’assemblea non ci pensa minimamente. Complimenti! Evviva la democrazia!
OPINIONE: L’intervento di Claudio Cattori sul Parco del Piano nella seduta del Consiglio comunale di Giubiasco
L’Istituzione del Parco del Piano di Magadino è un atto politico che dimostra la volontà di salvaguardare almeno quel che resta di un territorio agricolo, unico nel nostro Cantone.
Lo scempio perpetrato ai danni del Piano di Magadino, nei decenni trascorsi, è uno spettacolo desolante sotto gli occhi di tutti. Insediamenti discutibili imposti dalla Confederazione, dal Cantone e, ciò che è più grave, dai Comuni che si affacciano sul Piano. Taluni amministratori comunali, negli anni, hanno fatto delle scelte pianificatorie, che ora testimoniano lo spreco e l’irragionevole sottrazione di terreno agricolo.
Infatti, negli anni ottanta e novanta, ma anche all’inizio del secondo millennio, taluni politici si sono lasciati sedurre dalla frenesia dagli insediamenti che avrebbe dovuto generare entrate stratosferiche. E così non è stato nella maggioranza dei casi.
Ma è altrettanto vero che, quei politici, avevano smarrito il senso di responsabilità che consigliava di salvaguardare e proteggere un territorio agricolo di assoluto pregio. I territori di Sant’Antonino, Cadenazzo e anche Contone non necessitano, a questo proposito, di commenti. Ora sono però diventati una realtà scomoda, imbarazzante.
È soprattutto ora di vigilare per evitare il peggio; è quello che ci si propone questa sera. In questo contesto non posso dimenticare che, una responsabilità di non poco conto, va anche addebitata dal Consiglio di Stato che ha ratificato, nel passato, l’estensione sconsiderata di zone edificabili, con l’aggravante di aver accettato anche norme edificatorie che possono essere definite spregiudicate.
I contadini, in quell’epoca, avevano fatto sentire la loro voce ma erano poco ascoltati e per certi versi erano dileggiati o quantomeno considerati come nostalgici di un’epoca che sembrava essere stata soppiantata dalla corsa al presunto benessere economico. Invece il tempo ha dato, seppur tardivamente, ragione a coloro che si battevano per salvaguardare un bene irripetibile qual è il territorio agricolo.
Dopo questa premessa dichiaro di accettare, in linea di massima, gli obiettivi che s’intendono perseguire con il Parco del piano di Magadino. Ma non posso evitare dal manifestare le mie preoccupazioni; come cittadino e agricoltore.
La terra è una proprietà di tutti ma si sa che essa è sempre stata ultimata e lavorata dei contadini e degli agricoltori. Chi, più di loro, devono essere considerati gli attori principali in questo contesto? Certo, ci sono regole e ordinamenti che vanno rispettati. Ma loro sono i primi attori. Ora, più di ieri, se vogliamo mantenere intatto quel territorio agricolo che rimane, gli agricoltori non devono però essere intralciati dalle esasperanti limitazioni che vorrebbero imporre gruppi di pensiero che rasentano l’estremismo.
Gli agricoltori, è bene ricordarlo, hanno una coscienza ecologica. Le leggi, le ordinanze, le norme fissano limiti che non possono e non devono essere superati. Sono quindi una garanzia che deve rassicurare anche per chi appare ossessionato da una visione ecologicamente estrema. E’ invece necessario sapere coniugare, sapientemente, il rispetto della natura con le esigenze economiche.
La terra deve fornire la sussistenza e i contadini sono coloro che la coltivano. Sembra un’equazione facile ma, ammetto, anche delicata. Ed è inevitabile che, quando si parla di agricoltura, non si può eludere l’aspetto economico. Oggi l’orticultura, per sopravvivere, deve adeguarsi ai progressi tecnologici. In particolare l’orticoltura non può prescindere dalle serre ad alta tecnologia e dalla coltivazione intensiva. Pena il fallimento!
Ma, quando il progresso è ben orientato si possono ottenere risultati interessanti. Per esempio, nel nostro Comune, la lungimiranza del Comune di Giubiasco ha reso possibile la creazione di due “zone serre”, in buona parte costruite ad alta tecnologia e allacciate al teleriscaldamento Teris SA. Una visione politica che va segnalata anche perché possa essere d’esempio in altre parti del Cantone per avviare una collaborazione virtuosa, fra agricoltura e altre entità, che è esemplare. Nel nostro caso è il termovalorizzatore che fornisce energia anche agli agricoltori.
Vale la pena di ricordare che quattro aziende del nostro Comune collaborano con la Federazione ortofrutticola ticinese FOFT di Cadenazzo che ha un fatturato di 30 milioni. Ben il 59% della cifra d’affari della FOFT, è prodotto dalle quattro aziende, ubicate nelle zone serre. E’ una realtà che merita, in questo contesto, di essere considerata perché, oltretutto, gli acquisti sono veramente a km zero e si potrebbe addirittura definirli: “acquisto giubiaschese DOC a chilometro zero”.
Ma c’è di più: nelle quattro aziende operano circa 100 lavoratori e lavoratrici che producono un indotto non trascurabile sulle altre categorie economiche.
Concludo ripetendo che le forzature idealistiche hanno un loro senso nella misura in cui sanno essere complementari a una realtà che non si cambia con i soli proclami e buoni propositi. Assicuro la mia adesione al Messaggio Municipale auspicando fortemente che gli attori del Piano di Magadino erano, sono e saranno quegli agricoltori che da sempre sono fedeli e rispettosi della terra.
Claudio Cattori
Giubiasco, 17 ottobre 2016
OPINIONE – I ticinesi vogliono questo Parco!
La raccolta in meno di 2 mesi di quasi 15’000 firme per l’iniziativa popolare “Spazi Verdi per i nostri figli” non può lasciare indifferenti i nostri politici. La salvaguardia del territorio ed un suo uso sostenibile godono senza dubbio dell’appoggio di moltissimi ticinesi. L’iniziativa farà il suo corso e certamente il popolo dovrà pronunciarsi in merito. Ma, già in questi giorni, i politici del nostro Cantone avranno l’occasione di dimostrare di essere sulla medesima lunghezza d’onda della popolazione e di chi ha firmato l’iniziativa “Spazi Verdi”. L’importantissimo banco di prova è costituito dall’istituzione del Parco del Piano di Magadino sulla quale il Gran Consiglio si pronuncerà proprio mercoledì o giovedì prossimi. Un progetto la cui elaborazione ha necessitato di diversi anni ed ha comportato l’ampio coinvolgimento di tutta una serie di attori. Così, Comuni, Associazioni, Enti ed operatori del territorio hanno concordato assieme al Cantone un modo condiviso da tutti per riuscire a dare un futuro sostenibile ai circa 2’500 ettari del Piano di Magadino. Un futuro fatto in primis di attività agricola, ma anche di tutela di spazi naturali e di fruizione da parte di turisti e della popolazione per il proprio svago. Non è stato sicuramente facile mettere d’accordo tutti, ma, oggi, in un contesto geografico limitato come il nostro Cantone, è impensabile portare a compimento qualsiasi progetto di ampia portata senza percorrere la strada del consenso fra tutti gli attori in campo. Proprio per questo, il Gran Consiglio, se dirà di SÌ al Parco del Piano di Magadino, dimostrerà di approvare in primis la metodologia scelta per giungere alla sua istituzione. Cioè dirà SÌ alla via della concertazione, l’unico modo per assicurare a questo Cantone uno sviluppo qualitativo non solo su questo, ma anche su altri fronti.
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Giovanni Berardi – Presidente di Agrifutura
Piano di Magadino: A2/A13, chieste garanzie ma il Parco non è sotto tiro

Il Piano di Magadino.
di Maurizio Valsesia
Davvero volete affossare il progetto del Parco del Piano di Magadino? «Assolutamente no, nessuno vuole impallinare nulla. Ritengo esagerata la reazione del collega dei Verdi».
Getta acqua sul fuoco il presidente della Commissione Pianificazione del Territorio Luigi Canepa (Ppd), da noi interpellato dopo l’arrivo in redazione del comunicato stampa con cui i Verdi hanno annunciato che il loro rappresentante, Francesco Maggi, ha abbandonato la riunione della Commissione in corso ieri a Bellinzona, «mentre si discuteva, o meglio si impallinava, il progetto di Parco del Piano di Magadino», sostiene il partito ecologista, che parla di «manovre antidemocratiche».
«Dopo due anni di lavoro, estenuanti tira-molla, esauriti i pretesti per guadagnare altro tempo – prosegue la nota dei Verdi – sono usciti allo scoperto i cecchini. Lega, UDC e la maggioranza di PPD e PLR hanno chiaramente fatto capire che non intendono approvare il Parco del Piano di Magadino. Secondo loro la priorità è il collegamento veloce A2-A13 per Locarno, anche a costo di ripescare la famigerata Variante 95». E ancora: «Si sta affossando un progetto di valorizzazione del Piano di Magadino che a livello di consultazione ha suscitato ampi consensi mentre per il collegamento A2- A13 si sta rischiando di far saltare gli accordi sul tracciato, mandando alle ortiche anche la speranza di vedere un futuro collegamento per Locarno».
Presidente Canepa, in che clima si è svolta la riunione e cosa avete deciso. «Il clima era assolutamente normale. I toni non erano eccessivi. Il collega Maggi ha espresso una serie di dubbi e poi, un po’ a sorpresa, si è alzato ed è uscito. Noi abbiamo proseguito i lavori e, ripeto, la Commissione intende portare avanti il dossier. Il collega Lorenzo Bassi sarà relatore della bozza del rapporto, che ha garantito di presentare per settembre. Contiamo così di arrivare in Gran Consiglio con il dossier entro la fine dell’anno».
Perché si è parlato anche del collegamento veloce del Locarnese con l’autostrada? «Semplicemente perché alcuni colleghi voglio essere sicuri che approvando il Parco e quindi definendo il suo perimetro, non si precluda l’avanzamento dell’iter relativo all’A2/A13. Un dubbio.
«A tal proposito invieremo al Consiglio di Stato una lettera per chiedere maggiori informazioni. Credo che Maggi abbia equivocato; nessuno ha espresso l’intenzione di affossare il Parco. Certo, sulla creazione di quest’area protetta e di svago non tutte le sensibilità sono uguali, ma la maggioranza della Commissione è favorevole».
Parco del Piano di Magadino: Maggi sbatte la porta
Come riferisce Ticinonews.ch, si susseguono in Ticino gli episodi di rappresentanti politici che abbandonano riunioni in modo polemico.
Dopo l’improvviso addio del consigliere di Stato Claudio Zali all’assemblea dei cacciatori di sabato scorso, oggi è il deputato dei Verdi Francesco Maggi ad essersi reso protagonista di un episodio simile.
Maggi ha abbandonato la riunione di stamattina della Commissione della pianificazione mentre si discuteva del progetto di Parco del Piano di Magadino.
Più che discuterlo, secondo Maggi, lo si stava impallinando.
“Dopo due anni di lavoro, estenuanti tira-molla, esauriti i pretesti per guadagnare altro tempo, sono usciti allo scoperto i cecchini” afferma Maggi. “Lega, UDC e la maggioranza di PPD e PLR hanno chiaramente fatto capire che non intendono approvare il Parco del Piano di Magadino. Secondo loro la priorità è il collegamento veloce A2-A13 per Locarno, anche a costo di ripescare la famigerata Variante 95.”
“Non è bastato ricordare loro che nel settembre 2007 la maggioranza del popolo ticinese aveva detto NO a un tracciato sul Piano e ribadito l’importanza del Piano per l’agricoltura, la natura e lo svago” aggiunge il granconsigliere dei Verdi. “Non è bastato neppure ricordare loro che il Parco non porta pregiudizi ulteriori al collegamento veloce, basta e avanza il paesaggio palustre d’importanza nazionale, già in vigore, per bloccare eventuali tracciati troppo invasivi sul piano. Non è bastato neppure far presente che Berna non ha nessun interesse nel parco del Piano di Magadino, che è un progetto cantonale. Non è certo prendendo in ostaggio il Parco che si ottengono da Berna i finanziamenti per la strada. Ridicolo. Semmai il rischio è che le associazioni ambientaliste ed agricole scendano dal carro di sostegno del progetto di collegamento A2-A13 scelto dal gruppo di lavoro del Cantone, creato da Borradori all’indomani della batosta sulla Variante 95. E allora altro che 10-15 anni per vedere un collegamento.”
“E se Berna non paga, è forse anche a causa del Governo ticinese e degli stessi partiti PLR, PPD, Lega e UDC, che hanno messo come priorità il raddoppio del Gottardo, che invece di migliorare la mobilità del cantone la manderà in tilt” afferma ancora Maggi, secondo cui la commissione della pianificazione sta affossando un progetto di valorizzazione del Piano di Magadino che a livello di consultazione ha suscitato ampi consensi, “mentre per il collegamento A2-A13 sta rischiando di far saltare gli accordi sul tracciato, mandando alle ortiche anche la speranza di vedere un futuro collegamento per Locarno.”
OPINIONE – Agricoltura, caccia e ideologia
Editoriale di Gianmaria Pusterla apparso sul GdP del 14 maggio 2014
Vorrei ritornare su un avvenimento che occupa l’opinione pubblica in questi giorni. A costo di deludere qualche lettore e dico subito che non si tratta dell’”affare BancaStato”. Insufficienti sono oggi gli elementi a disposizione per prefigurare un giudizio. Più saggio aspettare, dunque, non lanciarsi in facili speculazioni, come purtroppo alcuni partiti (leggasi PS e Verdi) hanno già fatto nella giornata di ieri.
Mi ha colpito una strana coincidenza: sabato, proprio nel medesimo momento in cui il consigliere di Stato Claudio Zali lasciava quasi stizzito l’assemblea dei cacciatori ticinesi, un terzetto di maestosi cervi ha saltato la carreggiata della strada che congiunge Meride con Arzo (zona San Giorgio, bandita di caccia) 5 secondi prima che l’auto su cui mi trovavo passasse da quel punto e 10 secondi prima che una famigliola (papà, mamma e bambino) transitasse con le sue biciclette.
Caspita, mi son detto, per un pelo non ci scappava o l’incidente o una disgrazia ben peggiore, qualora uno dei tre animali avesse colpito uno dei ciclisti. Insomma: mentre si disquisisce su come risolvere o arginare la presenza di ungulati sul territorio cantonale ho avuto la prova provata che tale presenza è ormai diventata invadente e pericolosa per le stesse persone. E non solo dannosa per chi ancora si occupa di coltivare terreni e vigneti.
Il presidente dei cacciatori Fabio Regazzi si è permesso di insinuare il dubbio che qualcosa in Ticino non funzioni nella gestione degli ungulati: si spendono molti più soldi per coprire i danni che cinghiali e cervi fanno alle colture rispetto a quanto avviene in altri Cantoni. Questo non perché sia sbagliato dare a chi viene danneggiato, ma perché, forse, non vengono adottate le misure strategiche e preventive adeguate.
E tra coloro che potrebbero portare un contributo a questa regolazione i cacciatori dovrebbero essere in prima linea. Non sembra purtroppo essere il caso. Emerge qui evidente l’annosa, difficile ricerca di collaborazione tra chi pratica la caccia e l’Ufficio cantonale caccia e pesca. Quasi che quest’ultimo non riesca a considerare la categoria dei cacciatori un alleato nella difesa del territorio.
Ben conosciamo invece il patrimonio di conoscenza che i cacciatori portano con sé e il naturale ruolo regolatore che la caccia, nei secoli, ha sempre esercitato sulla fauna. Ma se, per un preconcetto ideologico – come sembra sempre più imporsi in questa società (che va quindi a condizionare anche gli apparati statali) -, l’animale selvatico non può essere cacciato (nei periodi e nei momenti giusti che la natura consiglia), allora sarà difficile evitare le conseguenze negative per agricoltori e viticoltori.
Urge un cambiamento d’approccio, guardando bene a ciò che il passato ci può insegnare.
“Querelle” Zali-Regazzi: la posizione di Francesco Tettamanti del gruppo “territorio e ungulati”
Scontro Zali – Regazzi: le ragioni di chi sta al fronte per il bene comune
Le scintille scoppiate fra il Consigliere di Stato Claudio Zali e il Presidente della FCTI Fabio Regazzi durante la recente assemblea della Federazione Cacciatori Ticinesi hanno sollevato per l’ennesima volta il problema dei danni all’agricoltura e alla natura provocati dagli ungulati nel nostro Cantone.
Oggetto del contendere sono state le dichiarazioni poco opportune del Presidente Regazzi in un’intervista rilasciata alla vigilia dell’assemblea del sodalizio da lui presieduto, nella quale egli ha sollevato diverse obiezioni sulla gestione della problematica da parte del Dipartimento del Territorio.
Fra i vari quesiti il Presidente della Federazione dei Cacciatori Ticinesi si chiede come mai in Ticino lo Stato sia costretto a dei risarcimenti milionari (CHF 1,3 Mio nel 2013) mentre nei Cantoni a noi vicini i risarcimenti nei confronti dell’agricoltura sono più che esigui, lasciando intendere fra le righe che le nostre autorità sono troppo magnanime nel risarcire i danni provocati dagli ungulati, prevalentemente cervi e cinghiali.
Regazzi è un politico navigato, di spessore e solitamente ben informato, per cui la domanda che sorge spontanea davanti a questa sua presa di posizione è: dove vuol andare a parare?
Il motivo della notevole differenza nei risarcimenti rispetto ad altri Cantoni è in realtà molto semplice.
In primo luogo la distribuzione territoriale delle zone agricole in Ticino è molto diversa rispetto al Vallese e ai Grigioni.
I vigneti si trovano infatti direttamente in prossimità delle zone boschive.
Inoltre in Vallese e nei Grigioni il cinghiale, responsabile di quasi la metà dei danni, non è praticamente presente mentre in Ticino, dopo una assenza plurisecolare, è ricomparso da circa un ventennio, introdotto clandestinamente – guardacaso … da cacciatori (sembrerebbe) d’oltre confine- allo scopo di aver finalmente qualcosa di grosso da cacciare anche al piano. Da buon cacciatore Regazzi dovrebbe conoscere molto bene il loro tasso di proliferazione e le conseguenze dovute a una gestione errata delle loro popolazioni.
Per quanto concerne il cervo, nei Cantoni a noi vicini – contrariamente a quanto accaduto in Ticino- non si è mai adottata una politica espansiva da parte delle autorità cantonali e chiaramente supportata dalle società venatorie.
La presenza del cervo a sud del ponte diga è stata infatti favorita da una politica di gestione molto espansiva della specie adottata soprattutto in questo ultimo decennio.
È ovvio che con l’introduzione di un ungulato di tali dimensioni in zone con la presenza di santuari dove la caccia è bandita (Monti San Giorgio e Generoso) e dove a ridosso di queste bandite sono presenti da secoli vigneti e altre colture sensibili- non saremmo potuti che arrivare a questo sfacelo.
Non da ultimo e a mio parere di capitale importanza, i nostri vicini non hanno mai avuto all’interno delle istituzioni lobby così potenti come quella dei cacciatori ticinesi.
Lobby che ha influenzato notevolmente la politica venatoria ticinese degli ultimi anni e che probabilmente non ha permesso a chi di dovere di gestire le popolazioni di ungulati, analogamente a quanto hanno fatto i nostri vicini, dove vige un sostanziale equilibrio faunistico e i danni a boschi e colture sono di conseguenza limitati. In Vallese ad esempio la densità di cervi /km2 è esattamente la metà di quella ticinese e il cinghiale come detto è assente.
Regazzi si dimentica inoltre di un punto estremamente importante: il problema non è solo al piano e in collina e limitato all’agricoltura, bensì è esteso alle nostre foreste, che stanno subendo danni e che senza un deciso intervento porrebbero le generazioni future di fronte a rischi potenzialmente gravissimi.
Il rinnovo naturale della foresta in molte zone, anche in quelle definite ad alto potenziale di protezione per il fondovalle, si è arrestato a causa del brucamento di cervi, caprioli camosci e quant’altro.
Lo Stato e soprattutto i proprietari di boschi (patriziati, comuni e privati cittadini) devono investire annualmente milioni per far fronte ai danni e per assicurare le adeguate protezioni alle nuove piantagioni.
Non è normale che la collettività debba investire CHF 200.00 per proteggere una piantina che costa dieci volte meno!
Questi investimenti, assurdi ma necessari, sono l’unica soluzione per garantire un bosco sano fra trenta o cinquant’anni. Abbiamo tutti visto nella vicina Penisola i danni causati dal dissesto idrogeologico presente in molte regioni.
L’unica vera protezione per la popolazione da frane, caduta di massi e alluvioni è un territorio ben curato e un bosco che possa svolgere le sue funzioni protettive.
Le leggi, federali e cantonali, sono chiare e vanno rispettate, visto che sono il frutto di un iter democratico. Il loro obiettivo è uno solo: assicurare il giusto equilibrio fra la fauna presente e la natura senza dimenticare la corretta convivenza con l’agricoltura e l’uomo in generale. La caccia è uno strumento di capitale importanza per il raggiungimento di questo equilibrio.
Venendo meno i predatori naturali – e penso che in Ticino nessuno, salvo qualche sprovveduto idealista, vuole vedere scorazzare sul nostro territorio e nei nostri giardini orsi, linci e branchi di lupi – rimane per il momento l’unico mezzo per tornare a una situazione sostenibile per quanto riguarda le popolazioni di selvatici.
Ben vengano in seguito anche le misure dissuasive e non cruente citate in molte occasioni e applicate con successo in regioni con le stesse caratteristiche della nostra.
Gli agricoltori vorrebbero solo poter svolgere il loro onesto lavoro, raccoglierne i frutti per venderli o trasformarli.
Non c’è nulla di più mortificante che veder vanificato in poche ore il duro lavoro di un anno intero e dover chiedere il legittimo risarcimento per i danni subiti. Leggere certi commenti espressi da politici che dovrebbero avere a cuore l’economia del nostro Cantone e il suo territorio, dove si sottintendono dei privilegi ingiustificati in questo ambito fa male, molto male, e non è oltretutto corretto.
Lo stesso discorso vale per i nostri forestali, che ambirebbero ad intervenire sul bosco in modo incisivo e non su dei mini-recinti per alberi. I ritardi nelle opere di rimboschimento sono considerevoli e non c’è più tempo da perdere.
Per questi motivi sarebbe veramente opportuno che la caccia assumesse il proprio vero ruolo di garante dell’equilibrio naturale fra animali e il resto della natura al’interno del nostro territorio.
Chi opera sul territorio è veramente stufo di passare per mantenuto dello stato. E di dover sacrificare parte del proprio reddito o del proprio lavoro per permettere a un esiguo gruppo di persone di praticare uno sport per due settimane all’anno, perché purtroppo per molti la caccia si è ridotta a questo.
Da figlio di cacciatore, constato infatti con rammarico e che il vero “spirito del cacciatore” va sempre più scemando e vige sempre più la politica del congelatore pieno e della preda assicurata con poca fatica.
La funzione dell’On. Zali va ben oltre l’assecondare i desideri di una Lobby.
Il fatto che egli abbia picchiato i pugni sul tavolo dimostra il suo innegabile impegno e il fatto che sappia difendere la sua funzione e le sue idee, ma anche che sappia dire NO a qualcuno.
Abbiamo potuto constatare tutti dove ci ha condotto la politica del “tàia e medéga” praticata fino ad ora e forse una bella scossa andava data per portare tutti alla ragione.
Nell’interesse collettivo spero che tutte le parti in causa riescano finalmente a trovarsi pacatamente attorno ad un tavolo e ad ascoltarsi, senza pregiudizi e con la ferma volontà per ricercare una definitiva soluzione a questo annoso problema. In molti temi, come ad esempio quello delle bandite, vi è infatti una notevole unità di vedute fra FCTI e chi opera sul territorio, su altri sono certo che delle soluzioni si troveranno. D’altra parte la caccia, quella vera, era forse ancora più sentita vent’anni orsono, quando le popolazioni di ungulati erano molto inferiori a quelle attuali. Sarebbe veramente buona cosa tornare alle origini.
Si risparmierebbero così un sacco di soldi in risarcimenti, e di questi tempi scusate se è poco …..
I fondi così risparmiati potranno essere destinati ai loro scopi originali: una più rapida opera di rimboschimento nelle zone a rischio e le premesse per una miglior gestione dei selvatici con il Fondo per la caccia, al momento esangue a causa dei risarcimenti dei danni all’agricoltura.
Per il gruppo Territorio e Ungulati
Francesco Tettamanti
I contadini: “Questi prati saranno la nostra salvezza”
Cliccando sull’immagine (tratta da tio.ch) puoi leggere l’articolo apparso su tio.ch che ha per tema il controverso argomento della coltivazione dei green su suolo agricolo.
Di seguito riportiamo lo stralcio della presa di posizione di Agrifutura nell’ambito della consultazione del PUC del Parco del Piano di Magadino in cui, a determinate condizioni, si propone una soluzione di compromesso.
“Scheda M_2.1.2: Riconvertire ad uso agricolo le superfici in zona agricola utilizzate per altri scopi
Procedere in questo senso solo se vi è al certezza di poter riottenere una fertilità del suolo al 100%, altrimenti utilizzare queste aree per inserirvi attività problematiche con lo statuto del parco (es. green, vigna, ecc.).”
OPINIONE: Politica agricola, chi si ferma (e chi si lascia fermare) è perduto!
Qualcuno ha avuto la sventura di seguire la trasmissione Millevoci di oggi (martedì) sul tema della nuova politica agricola? (clicca sul testo in rosso per riascoltarla)
Che tristezza, che vergogna!
Oramai non sono più solo i fatti e fatterelli della nostra agricoltura nostrana ad alimentare la macchina del fango.
Anche la politica agricola federale è spunto e occasione per le vendette, le insinuazioni, le menzogne per colpire ancora una volta chi cerca di costruire. Molto più pagante (elettoralmente si intende) coltivare pregiudizi o fingere di aiutare chi è in difficoltà con grandi proclami senza seguito.
Signor Cleto Ferrari, per levarti qualche tua (penosa) soddisfazione personale, hai buttato fango su tutti gli agricoltori che nei tuoi sproloqui “copia e incolla” dichiari di difendere. Quando parli degli agricoltori che si attaccano solo ai sussidi (avete capito bene !!!) e non hanno più voglia di lavorare hai vomitato tutto quello che chi ci vuole veder scomparire non si stanca di ripetere.
Grande segretario agricolo! Veramente grande.
Grazie!
Angela Tognetti
OPINIONE: La politica agricola come il curling
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di Giovanni Berardi, Presidente di Agrifutura
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Ormai ci siamo. Le ultime divergenze fra il Nazionale e gli Stati sono state appianate. La riforma della politica agricola federale sarà sottoposta venerdì alla formale votazione definitiva ed entrerà in vigore fra poco meno di un anno. Questa riforma permette di raggiungere in modo più mirato gli obiettivi strategici della Confederazione in materia agricola come un più alto grado di auto approvvigionamento, una corretta gestione del territorio e un uso sostenibile delle risorse. La definizione più precisa dei tipi di pagamento diretto concessi agli agricoltori rende anche più trasparenti le prestazioni svolte dal settore agricolo in favore di tutta la società. Le bocce dunque sono ferme o, se prendiamo come esempio lo sport invernale del curling, le pietre sono ferme. Chi conosce questo gioco sa che solo quando le pietre sono ferme si può vedere chi ha fatto punti. Un primo vincitore è sicuramente l’arbitro della partita, ovvero il Consiglio Federale e per esso l’Ufficio Federale dell’Agricoltura UFAG che si sono visti confermate dal Parlamento le impostazioni di fondo della Politica Agricola 2014-17. Essi hanno avuto il pregio di comprendere che solo con una riforma di questo tipo sarebbe stato possibile ottenere i necessari consensi politici per mantenere l’alto livello odierno dell’impegno della Confederazione a favore dell’agricoltura. Non si dimentichi a questo proposito che la politica agricola costituisce un vero e proprio strumento di politica regionale e federalista che immette nell’economia rurale delle zone periferiche importanti mezzi finanziari. Nel complesso può considerarsi soddisfatto anche il settore agricolo dato che le risorse destinate all’agricoltura non diminuiscono. Certo cambiano le modalità di assegnazione e per questo sarà necessario un grosso sforzo imprenditoriale da parte degli agricoltori. Molto dipenderà anche dall’approccio che essi avranno verso la riforma. Bisognerà affrontare il nuovo ordinamento con spirito positivo e senza affanni informandosi già da subito sulle novità in arrivo in modo da coglierne le opportunità. Un lavoro paziente e impegnativo. Un po’ come quando i giocatori di curling prendono le misure del lancio e accostano dolcemente in scivolata le pietre verso i cerchi della casa. Certo, come nel curling, anche per applicare la nuova politica agricola ci vorranno gli “scopatori”, ovvero coloro che agevolano la scivolata della pietra e favoriscono la traiettoria migliore. Questo ruolo compete alle nostre autorità cantonali e all’amministrazione che dovranno informare, consigliare e appoggiare gli agricoltori e adeguare le normative cantonali allineandole a quelle federali. C’è ancora comunque un’incognita: la possibilità che venga lanciato un referendum. Non sarebbe utile, ma evidentemente c’è qualcuno che alla scivolata e all’accostamento preferisce il boccia punto. Staremo a vedere. Ad ogni modo, per chi non si adeguerà al nuovo ordinamento sono prevedibili spiacevoli scivoloni… sul ghiaccio.
Opinione – Pianificazione e ruote di scorta
Che un esponente del mondo agricolo come il sottoscritto difenda la modifica della Legge federale sulla pianificazione del territorio (LPT), su cui ci si esprime in queste settimane grazie al voto per corrispondenza, è più che comprensibile. Il suolo, che la legge vuole difendere, è la base imprescindibile su cui si basa l’attività agricola e la produzione di alimenti. In verità, ciò vale anche per ogni cittadino che abbia a cuore un futuro sostenibile per le nuove generazioni. La popolazione mondiale (e anche quella Svizzera) aumenta in modo esponenziale e una delle sfide maggiori per l’umanità sarà proprio di riuscire ad assicurare in futuro l’approvvigionamento del pianeta. Come si farà senza le terre fertili che oggi in Svizzera sono cementificate in ragione di un campo di calcio ogni 3 ore? Oltre alla sicurezza alimentare, ci sono però anche altri argomenti che devono farci propendere per un convinto Sì alla LPT. Di recente è stato presentato il documento strategico “Progetto territoriale Svizzera” che gode del consenso dei rappresentanti di Confederazione, Cantoni, città e Comuni e che, fra l’altro, lancia un segnale d’allarme: uno sviluppo a macchia d’olio degli insediamenti non è sostenibile perché verrebbero a mancare i soldi per assicurare le infrastrutture necessarie a nuove zone edificabili. In pratica lo Stato e le sue finanze risulterebbero eccessivamente sollecitati anche perché, oltre a dover coprire i costi di nuove urbanizzazioni, bisognerà metter mano all’adeguamento delle infrastrutture già esistenti per migliorarle. Detto in soldoni, se si va avanti di questo passo, i cittadini presto o tardi saranno chiamati alla cassa. Secondo il progetto territoriale Svizzera la via da percorrere sarebbe invece la densificazione e il riordino degli spazi già urbanizzati evitando però di estenderli e ottimizzando le infrastrutture esistenti. E la revisione della LPT prevede proprio strumenti che favoriscono questi processi di riordino pianificatorio, limitando a una riserva di 15 anni le scorte di zone edificabili. In diversi Cantoni della Svizzera, fra cui il nostro, se si costruisse nelle zone già adesso edificabili ma ancora libere da edifici, la popolazione raddoppierebbe. A parte il fatto che già oggi in diverse zone è sufficiente lo “starnuto” d’un incidente per mandare in tilt il traffico (vedi ad esempio ciò che succede una settimana sì e l’altra pure fra Lugano e Chiasso), la sproporzione delle riserve di zone edificabili rispetto alla necessità è evidente. Sarebbe come se nel baule della vostra automobile invece di una aveste quattro (!) ruote di scorta. Un po’ troppe non vi pare? Insomma, un Sì alla revisione della Legge sulla pianificazione del territorio, oltre a far bene a una Svizzera vivibile e a misura d’uomo, svuoterebbe il vostro baule di zavorre inutili e costose.
Giovanni Berardi – Presidente di Agrifutura
Rapporto agricolo 2012
L’Ufficio federale dell’agricoltura ha presentato ieri il rapporto agricolo 2012 che offre uno spaccato complessivo dello stato della nostra agricoltura. La popolazione svizzera ritiene che la produzione di derrate alimentari, la detenzione di animali particolarmente rispettosa delle loro esigenze e il contributo alla sicurezza alimentare siano fondamentali. Crede, inoltre, nel futuro dell’agricoltura svizzera. Questi sono i risultati dell’ultima indagine Univox, pubblicati nel Rapporto agricolo 2012 che contiene anche molte tabelle e un resoconto della situazione economica del settore primario.
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Scarica il Rapporto agricolo 2012 (14’000 kb).
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Scarica la documentazione riassuntiva per la stampa.
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E qui sotto leggi il commento di Agrifutura, apparso oggi sul Giornale del Popolo.
Con l’agricoltura si mangia. Teniamocela stretta!
di Giovanni Berardi – Presidente di Agrifutura
Il rapporto agricolo 2012, presentato ieri dall’Ufficio federale dell’agricoltura, è un “mattone” di 312 pagine che però permette di farsi un quadro complessivo della situazione in cui si trova la nostra agricoltura. Riprendendo la notizia, l’edizione odierna del GdP si concentra soprattutto sull’analisi della redditività delle aziende agricole. Su questo preciso punto si può trarre una conclusione in merito alla direzione che prenderà la dimensione delle aziende agricole in generale: esse diventeranno tendenzialmente più grandi. Probabilmente scompariranno quelle aziende, il cui reddito dipende in maniera preponderante da attività extra agricole. Un’evoluzione che consentirà ad altre famiglie contadine di consolidare la propria situazione, ma che potrebbe comportare anche un serio inconveniente. La gestione capillare del territorio nelle vallate più impervie del nostro Cantone, oggi ancora assicurata da piccole aziende agricole, potrebbe in futuro non più essere garantita. Ma il rapporto agricolo di quest’anno propone anche i singolari risultati di due sondaggi. Nel primo sono state interrogate le donne attive in agricoltura. Per le donne contadine, operare in un’azienda agricola offre molte occasioni di sviluppo nonché la possibilità di vivere e lavorare nello stesso posto; vantaggi, questi, che esse apprezzano tantissimo. Sempre più donne assumono responsabilità all’interno dell’azienda e il loro contributo, spesso non riconosciuto, è enorme e molto valido. Insomma, buttarsi nell’attività agricola potrebbe essere un’alternativa praticabile per chi cerca soddisfazione e qualità di vita, anche se i ritmi sono serrati e il carico di lavoro elevato. Col secondo sondaggio si è invece tastato il polso ai cittadini svizzeri chiedendo loro: “Cosa ne pensate dell’agricoltura del vostro paese?” Ebbene, la popolazione svizzera ha un’elevata considerazione del settore primario e ritiene che la produzione di derrate alimentari, la detenzione di animali particolarmente rispettosa delle loro esigenze e il contributo alla sicurezza alimentare siano fondamentali. Un risultato che lusinga gli agricoltori e che li sprona a continuare con impegno nella loro attività professionale. Ma la sorpresa di questo sondaggio è costituita dalla grande importanza data alla sicurezza alimentare in tempo di crisi. Vuoi vedere che anche l’opulenta Svizzera si sta rendendo conto che su questo nostro piccolo pianeta c’è e ci sarà un problema alimentare? Meglio dunque tenersi ben stretta la nostra agricoltura che può assicurare un minimo di approvvigionamento interno. E teniamoci strette anche le attuali superfici agricole, fra le più fertili al mondo che per giunta non necessitano di irrigazione. Potrebbero servirci…
OPINIONE: L’agricoltura come l’edilizia? Riflettiamoci!
di Giovanni Berardi – Presidente di Agrifutura
Mercoledì ha preso avvio l’atteso dibattito al Consiglio Nazionale sulla politica agricola 2014-17. Un cantiere sempre aperto quello del settore agricolo, uno dei più regolamentati a livello di leggi, ordinanze e regolamenti. E, a proposito di cantieri, per comprendere quale sia la strada da prendere (o da non prendere) in campo agricolo, può essere utile analizzare cosa sta succedendo nell’edilizia. Oggi, grazie ai bassi tassi di interesse, il mattone “tira di brutto”, come si dice in gergo. In realtà, però, se in passato un impresa costruiva un edificio dalla A alla Z, oggi, sempre più spesso, si assiste all’edificazione di case prefabbricate. Il lavoro dell’impresa del posto si limita in pratica alla preparazione di una platea su cui sorgerà un edificio trasportato con grossi camion a targa quasi sempre straniera (come del resto la manodopera che assembla questi prefabbricati). A livello di costo finale per il cliente non è che ci siano grosse differenze. Però in definitiva gran parte del valore aggiunto legato alle costruzioni prefabbricate varca i nostri confini. Invece, con l’edificazione “tradizionale”, con i mattoni per intenderci, l’indotto è quasi completamente locale. È lecito dunque chiedersi se chi opera nel settore edile non stia tagliandosi il classico ramo sul quale è seduto. Ma cosa c’entra questo discorso con la nostra agricoltura e col dibattito parlamentare sulla politica agricola 2014-17? È semplice: i parlamentari dovranno decidere se vorranno un’agricoltura produttiva in Svizzera oppure se vorranno dirigerla verso compiti di sola gestione del territorio, aumentando però la nostra dipendenza alimentare dall’estero. In altre parole, la scelta è fra casa tradizionale e prefabbricato; fra prodotti agricoli e indotti locali, sicuri e genuini, e prodotti esteri a minor prezzo, ma che lasciano solo le briciole a livello di indotto. Un nodo cruciale, anche perché la nostra agricoltura, che oggi assicura al paese un grado di approvvigionamento in derrate alimentari di circa il 55%, è un settore non del tutto trascurabile per la nostra economia. Si calcola che l’agricoltura concorre per circa 10 miliardi di franchi al PIL svizzero. I primi risultati del dibattito parlamentare lasciano ben sperare che si trovi il giusto equilibrio affinché l’agricoltura possa continuare a svolgere i compiti conferitigli dalla nostra costituzione, in primis la produzione di derrate alimentari di qualità. Lo conferma anche l’opinione del deputato Marco Romano che ieri sul GdP ha commentato l’avvio del dibattito parlamentare. È importante che i parlamentari sentano la grande responsabilità che incombe su di loro nell’adottare le giuste scelte. E il momento economico è troppo delicato per sbagliare strada.
OPINIONE – Macello: si chiudano le paratie stagne
Qualcuno sul blog di Agrifutura ha paragonato la vicenda del macello di Cresciano a quella della Costa Concordia e di Capitan Schettino. Si tratta di un accostamento per certi versi irriverente, ma la metafora navale e il gergo marinaresco possono aiutarci a dare una lettura comprensibile di tutta la vicenda. Ma andiamo con ordine. Prima di tutto il bastimento “macello di Cresciano”, al contrario della Costa Concordia, non è ancora affondato, ma si trova all’ancora appena fuori dal porto al riparo dal mare in burrasca. Chi detiene il timone, ovvero la direzione di MATI SA, accortasi che la nave nuova di zecca non era in grado di navigare, ha avuto l’accortezza di depositare i bilanci in pretura per eccesso di debiti in una fase in cui è ancora possibile trovare una soluzione. Infatti, allo stadio attuale gli unici creditori, ancorché per importi notevoli, sono BancaStato (credito ipotecario) e lo Stato del Cantone Ticino (prestito LIM senza interessi). Ben diversa sarebbe stata la situazione se si fosse tentata una navigazione impossibile, lasciando andare alla deriva il bastimento. In questo caso i creditori si sarebbero moltiplicati e il mare sarebbe diventato ancor più burrascoso. Ma in cosa consiste il problema del macello di Cresciano? Consiste nel fatto che l’edificio macello è di proprietà della società che lo gestisce, la MATI appunto. Ciò espone questa importante struttura di interesse pubblico a gravi pericoli in caso di insolvenza della MATI SA, come è appunto ora il caso. Tornando al paragone navale, si può dire che il bastimento è stato costruito senza paratie stagne, senza cioè quei compartimenti della stiva che in caso di una falla possono essere chiusi impedendo l’affondamento. Senza paratie stagne anche solo una piccola falla (crisi di liquidità, eccesso di debiti, ecc.) può far affondare l’intero bastimento. A questo punto, la capitaneria di porto, ovvero il gruppo di lavoro misto scaturito dalla riunione di ieri, dovrebbe orientare la ricerca di una soluzione verso una direzione che separi la proprietà dello stabile dalla gestione. In altre parole, occorre seriamente valutare il “modello Zurigo”, proposto da Agrifutura qualche giorno fa, che in sostanza prevede che il Cantone acquisti lo stabile e appalti la gestione a un ente privato. Questa soluzione eviterebbe a Banca Stato e al Cantone di perdere vari milioni e metterebbe nella classica botte di ferro la struttura macello, tanto utile e necessaria per il settore primario ticinese. Su questa proposta dovranno esprimersi il governo e i politici, magari con proposte concrete e atti parlamentari. A meno che non si voglia lasciare questa incombenza al neonato Partito ticinese dei Pirati…
Giovanni Berardi – Presidente di Agrifutura e utente del macello di Cresciano
OPINIONE – Macello: la prima gallina che canta…
Il macello di interesse cantonale di Cresciano è in difficoltà finanziarie e, negli scorsi giorni, la MATI SA, società che ha edificato e gestito la struttura, ha depositato i propri bilanci in pretura. L’opinione pubblica potrebbe essere portata a credere che si sia giunti a questa situazione di “empasse” per “imprevedibili situazioni avverse, inaspettate evoluzioni dei prezzi delle materie prime, eccetera, eccetera”. In verità, negli ambienti agricoli sin dal concepimento del macello si capiva che il progetto sarebbe andato incontro a un disastro annunciato. E dove hanno avuto origine i nodi che ora vengono al pettine? Lo si può comprendere analizzando la sequenza di comunicati degli ultimi giorni. Il 28 giugno, in occasione della propria assemblea, la MATI SA annunciava il deposito dei bilanci e la sospensione delle attività. Ma, in realtà, tutto è cominciato il giorno prima, ossia il 27 giugno, con un comunicato a sorpresa del Cantone in cui lo stesso si dichiarava disposto, congiuntamente a BancaStato, ad approfondire le soluzioni più opportune per risanare la difficile situazione finanziaria del macello di Cresciano. Dunque questa è la prima gallina che ha cantato e che perciò, secondo il detto popolare, ha fatto l’uovo. E infatti la responsabilità politica di questo insuccesso ricade sul Cantone. Perché? Beh, prima di tutto per il fatto che a suo tempo dovendo scegliere fra il macello da 1,2 milioni di kg di Cresciano senza lavorazione annessa della carne e il macello da 600 mila kg di Rivera con la possibilità di trasformare direttamente in loco la carne, il Governo scelse Cresciano anteponendo considerazioni di politica regionale alla sostenibilità finanziaria. Poi, nemmeno il Gran Consiglio brillò in quanto a capacità di analisi e di valutazione e avallò il progetto, il relativo contributo LIM e il contributo a fondo perso di 1,5 milioni. A fronte di queste oggettive responsabilità è giusto che ora il Cantone si senta in dovere di intervenire per trovare una soluzione adeguata. E, naturalmente, sulla scorta delle precedenti esperienze, sarà bene agire avvalendosi delle medesime persone che ora amministrano il macello e dei medesimi “consiglieri agricoli” all’origine di questo disastro. Potremo così continuare ad ascoltare le singolari proposte di risanamento del segretario dell’Unione contadini ticinesi, Cleto Ferrari, il quale pure lui si è sentito in dovere di cantare e alle Cronache regionali RSI del 29 giugno ha affermato, testuali parole: “Quello che possiamo fare è reintrodurre il vecchio sistema della frollatura della carne all’osso che è un valore aggiunto essenziale nella gastronomia”. Qualcuno dovrà spiegargli che, in realtà, ad essere ridotte all’osso sono le finanze del macello… e anche la pazienza dei contadini.
Giovanni Berardi, presidente di Agrifutura e utente del macello di Cresciano
OPINIONE: Alpeggi e pascoli a basse quote: due pesi e due misure?
Metà giugno: in Ticino la maggioranza dei bovini, delle capre e delle pecore, ma anche in parte cavalli e asini, vengono condotti in alpeggio. Per tre mesi ed oltre potranno godere della libertà, del piacere di sentire il sole e il vento sul proprio pelo o la propria lana, di nutrirsi di erbe profumate e annusare di nuovo il profumo della terra, come i loro cugini selvatici.
La maggior parte degli alpeggi si trova oltre i1600 ms.l.m., ciò significa che il bestiame è esposto a condizioni meteo che possono anche variare notevolmente: da giornate di sole torrido, alla pioggia battente e alla neve, che anche in piena estate può arrivare a lambire i pascoli. Solo pochi di questi animali hanno a disposizione stalle e tettoie e, sopra i1800 m, spesso non ci sono più neanche alberi sotto cui cercare riparo, solo qualche roccia o zone all’ombra sui versanti esposti a nord. Per animali in buona salute ciò non è tuttavia un problema: in settembre-ottobre torneranno al piano sani e ben pasciuti, con il pelo e lana lustri e profumati di pioggia e sole.
E i loro colleghi che restano sui pascoli a basse quote? Per loro il legislatore svizzero ha creato due speciali articoli di legge che prevedono che, animali che “non possono adattarsi”, non possano essere lasciati esposti a “condizioni meteorologiche estreme” (OPAn, Art. 6 e 36). E qui… casca l’asino, o meglio il suo proprietario o la sua proprietaria…! Quando e quale animale “non può adattarsi” e quali sono le “condizioni meteorologiche estreme”? Quale proprietaria di asini, pecore e bovini, diplomata in etologia e biologia della fauna selvatica, conosco bene sia i miei animali che quelli selvatici. Gli asini, ad esempio, provengono originariamente dai deserti rocciosi e montagnosi del Corno d’Africa, dove erano (e i loro cugini selvatici sono ancora) esposti ad escursioni termiche giornaliere di oltre 40° e a rare ma intense piogge. Sono certa che da noi, da maggio a ottobre, a parte casi veramente eccezionali, animali su pascoli recintati con alcune parti almeno in leggera pendenza, in modo che l’acqua possa scorrere via, e con parti di bosco, rocce, alberi e/o cespugli sotto cui ripararsi, non sono esposti a “condizioni meteorologiche estreme”, neanche in caso di un temporale o qualche giorno di pioggia (che oltretutto li liberano per qualche tempo da mosche e tafani). Tra l’altro, in estate, questi animali sarebbero anche ben contenti di avere a disposizione una stalla fresca e buia “alla vecchia maniera” (e ora fuorilegge) dove non entrano i fastidiosi insetti, ma questa è un’altra storia…
E allora perché “Alpeggi e pascoli a basse quote: due pesi e due misure”? Perché i tenitori di bestiame in alpeggio, al pascolo senza ripari, giustamente non rischiano una denuncia da parte di un vicino o di un passante un po’ troppo zelante che non conosce le esigenze delle varie specie (come mi disse qualcuno qualche tempo fa, dopo che le mie pecore al pascolo vicino a casa sua erano state inzuppate da un acquazzone: “e ma su in alpeggio non le vedo e non mi fanno pena…!”); se lassù cade un fulmine e muore qualche animale, nessuno si sogna di denunciare il proprietario o il pastore per incuria, in montagna ciò è e viene ritenuto normale.
I proprietari di bestiame al pascolo a quote più basse vivono invece nell’assillo (e parlo per esperienza) che, malgrado tutta l’attenzione che ci mettono, in caso di maltempo qualcuno possa chiamare una Protezione animali o il veterinario cantonale, segnalando animali “maltrattati”. Come esposto sopra, gli animali in alpeggio stanno bene anche se sono esposti a pioggia e vento; a maggior ragione, nella bella stagione, ben raramente a quote più basse ci troviamo quindi di fronte alle “condizioni meteo estreme” previste dalla legge. Prego allora urgentemente autorità ed enti che ricevono queste segnalazioni di spiegare con coraggio direttamente ai “segnalatori” quanto esposto più sopra, tagliando subito “la testa al toro”, in modo da educare a poco a poco il vasto pubblico, che ormai conosce poco gli animali e le loro esigenze, ed evitare fastidi inutili a noi agricoltori che facciamo il nostro lavoro con coscienza e cognizione di causa.
Chiara Solari, Sala Capriasca
40 kg di verdura per gli asconesi che vanno a votare!
Il voto non si compera, ma l’idea di ringraziare con una borsa di ortaggi i cittadini di Ascona se dovessero respingere questo fine settimana la variante di PR che prevede la sottrazione di circa 16’000 mq di territorio agricolo, ci è veramente passata per la testa. Magari proprio martedì, a scrutinio avvenuto, durante il mercato settimanale di Ascona. E perché mai dovremmo ringraziare gli iscritti in catalogo del Comune di Ascona? Il comunicato stampa emanato ieri da Agrifutura vi fornirà tutte le spiegazioni.
Premio al merito di Agrifutura: il pensiero di Carlo Bertinelli
Di seguito pubblichiamo l’intervento di Carlo Bertinelli col quale esprime il suo ringraziamento per l’assegnazione del Premio al merito di Agrifutura.
ASSEMBLEA 2012 AGRIFUTURA
Come ho già avuto modo di dire al vostro presidente al momento della comunicazione di questa vostra decisione, sono molto onorato e gratificato di questo riconoscimento.
Ho pure promesso al presidente che avrei evitato di parlare del progetto che abbiamo in corso a Monte Carasso poiché so che sarei stato troppo lungo e, sapendo che per molti di voi, la giornata di lavoro non è ancora finita, vi avrei sottratto prezioso tempo. Se tuttavia la vostra associazione e voi foste interessati a conoscere meglio quello che stiamo facendo, sarò lieto di ospitarvi una volta al nostro “campo base” di Curzutt affinché possiate toccare con mano l’operazione che abbiamo in corso.
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Di regola rifuggo da quasi tutte le forme che hanno anche un vago sapore liturgico e celebrativo. Ho sempre il timore che esse possano in qualche modo incidere sulla vanità, che a sua volta è nutrice dell’autocompiacimento e che è uno dei peggiori nemici del progresso e del tenere sempre alta la testa e del “guardare avanti.”
Ritengo tuttavia che questo vostro gesto è un aiuto straordinario per toglierci almeno in parte il dubbio da aver in corso un’operazione solo estetizzante, fine a se stessa, magari dal vago sapore bucolico e autocelebrativo, in un contesto in cui è invece preminente la capacità di rendere compatibile molteplici finalità nel cui ambito il criterio soggettivo del bello deve avere una funzione solo complementare.
Questa operazione è partita negli anni novanta con la costituzione della fondazione CZ-SB e da qui sono poi seguiti una serie di lavori sul comparto della collina alta di Monte Carasso che hanno riscontrato un generale apprezzamento. Grazie alla ritrovata collaborazione comune – patriziato (e fondazione) – di cui se ne parlava già quando ero ancora in fasce e giunta ad un felice epilogo dopo peraltro un percorso ad ostacoli – il discorso che abbiamo intrapreso per la collina alta sta ora esondando su tutto il territorio montano.
Fondamentalmente lo scopo principale dell’operazione – in primis quella della fondazione – era e rimane il profondo bisogno di dare contemporaneità a uno spazio territoriale che per la maggior parte della nostra comunità era diventato pericolosamente quello che gli architetti definiscono un “non luogo”. Ed è appurato che quando un spazio assume questa connotazione, non solo perde di un suo significato ma, nel suo graduale degrado, diventa purtroppo oggetto di maltrattamento. Circostanza che non poteva essere tollerata per il carico di valori che per me e per un’infima minoranza di persone esso rappresentava. Io sono infatti tra i pochi privilegiati che, avendo passato una parte importante della mia infanzia e della mia gioventù su questi territori, essi continuano ad avere molto significato anche se le occasioni della vita mi hanno portato a fare cose che mi hanno sempre più allontanato da esso. Questa montagna è infatti per me uno di quei posti che costituiscono i luoghi dell’anima. Anche tra le rovine di questo pezzo di civiltà contadina che aveva peraltro lasciato sul terreno importanti segni dell’operosità umana, riuscivo a scorgere ancora sufficienti segni che nutrivano lo spirito per il fatto di riscoprire e scorgere qua e là elementi simbolici che mi riconciliavano con questi incantevoli spazi, malgrado l’incuria e il degrado.
Appena si rientrava nella cosiddetta civiltà, mi coglieva però quasi sempre l’angoscia di vedere un giorno, cancellate per sempre anche per l’incessante opera distruttiva del bosco, queste importanti tracce per cui alla fine ci siamo dati la pena di pensare a nuove categorie di fruizioni che riuscissero a coinvolgere il maggior numero di persone e perlomeno ad allontanare nel tempo il rischio latente di vedere questi posti come un peso, un di più di cui è meglio sbarazzarsene al più presto. Peraltro questo sentimento non è solo frutto di un pensiero astratto ma è testimoniato dalla svendita di buona parte di questi fondi agli svizzeri tedeschi, avvenuta in gran parte negli anni sessanta, che – prima di noi – ne hanno saputo cogliere il fascino e il valore. Svizzeri tedeschi che un po’ dobbiamo ringraziare poiché, pur facendo qua e là qualche inopportuno intervento, ci hanno comunque aiutato a coglierne l’importanza.
L’aumentato benessere che le nostre famiglie ha conosciuto negli anni successivi ha poi consentito a molti di noi di riscoprire e riappropriarci almeno in parte di questi territori.
A me è tuttavia sempre sembrato un po’ riduttivo vedere solo la parte vacanziera o solo ludica di questi spazi anche poiché, come è poi stato dimostrato dal tempo, questo approccio non poneva in essere un discorso più globale sull’intero territorio per cui il degrado e il declino di importanti pezzi della montagna è continuato, con in mezzo delle isole di pseudo – civiltà moderna che ha prodotto più che discutibili interventi di riattazione dei rustici e a sistemazioni esterne dei terreni che nulla hanno in comune con il carico di storia che le antiche tracce lasciavano ancora trasparire.
Penso che in questa operazione di riavvicinamento a questi posti, a noi ticinesi è mancata una visione complessiva del tema. Peraltro molti chi ci ha preceduto ne avevano principalmente colto gli aspetti più negativi poiché vi era una stretta relazione di causa – effetto, probabilmente non tutta giustificata, tra il loro stato di vera povertà e questi luoghi che per lunghi anni li aveva costretti ad una vita di stenti e taluni anche di emigrazione.
L’improvviso benessere del dopoguerra ha reso difficile conciliarsi con questo passato ci ha colti impreparati. Penso che da ciò deriva ad esempio la difficoltà che da anni abbiamo nel definire una pianificazione territoriale che sappia da una parte rispettare i giusti intendimenti della legislazione federale e, al tempo stesso, non condannare questi luoghi ad un inesorabile declino, o peggio ancora, all’abusivismo edilizio.
In questo lungo e per certi versi tormentato percorso nel tentativo di preservare queste vestigia storiche e – al tempo stesso – ridare dignità e contemporaneità al territorio, è però apparso subito chiaro che la nostra buona volontà avrebbe probabilmente prodotto poco o nulla se non avessimo colto l’importanza che l’agricoltura riveste in questi luoghi, non solo e non tanto per l’attività in sè di produzione di beni di prima necessità, ma anche e soprattutto per il determinante contributo che essa è in grado di dare a medio e lungo termine nella preservazione di questi comparti. Senza il vostro interesse e senza una simbiosi con chi la terra la usa, ogni nostro sforzo risulterebbe infatti vanificato in pochi anni poiché è inimmaginabile la gestione di simili spazi senza il vostro contributo.
E’ quindi per questa ragione che il vostro riconoscimento – meglio di qualsiasi altro – rappresenta per me e per noi un segnale importantissimo per la nostra opera. Devo confessare che, quando si intraprendono simili imprese e di fronte alle peraltro normali difficoltà in cui ci si imbatte, ci si sente talvolta come il marinaio che si trova su una barca in pieno oceano, alla deriva, e che, all’improvviso, scorge all’orizzonte se non proprio la terra ferma, almeno un faro.
Ecco, oggi questo riconoscimento rappresenta simbolicamente uno di questi fari.
Sono convinto che assieme potremo fare cose utili per il nostro Bel Paese e di ciò ve ne sono infinitamente grado.
Carlo Bertinelli
Monte Carasso, 3 marzo 2012
Tecnologia vs tradizione: chi vince?
Auguriamo agli utenti del blog Buone feste e con l’ausilio di due video lanciamo un sondaggio: tecnologia vs tradizione, chi vince? Come vedete il futuro per il nostro settore? Lasciate i vostri commenti e le vostre opinioni.
Discorso di Laura Sadis a saperi e Sapori
Scarica il discorso pronunciato da Laura Sadis, Consigliera di Stato direttrice del Dipartimento dell'economia e delle finanze, all'inaugurazione della decima edizione di Saperi e Sapori, svoltasi da venerdì a domenica al mercato coperto di Mendrisio.